giovedì 14 agosto 2008

"Ndiyo, mimi ni mwanafunzi wa kiswahili"


Si, io studio il kiswahili.

E' stato amore al primo ascolto! La lingua swahili ha un suono così dolce e musicale che non puoi resistere al voler provare. Come dappertutto, la lingua racconta la cultura del popolo che la parla, ma nel caso del swahili questa trasfigurazione, è quasi palpabile e sorprendente. Probabilmente è così per la maggior parte delle lingue africane, proprio per la tradizione orale ancora così viva. E qui mi verrebbe voglia di parlare dei danni che fa la TV nella comunicazione familiare di noi wazungu (uomini bianchi), ma preferisco raccontare ciò che ho visto e sentito.

La lingua è un susseguirsi e ripetersi di sillabe e immagini, e le parole sono così vicine a ciò che rappresentano che quando ascolti una frase sembra di guardare un bel quadro.

In kiswahili, per esempio, esistono solo tre termini specifici per indicare i colori:

-ekundu (rosso); -eupe (bianco); -eusi (nero). Tutti gli altri colori si rendono con paragoni presi da elementi naturali: rangi ya samawati = il colore del cielo = celeste ; rangi ya kijani = il colore delle foglie = verde.

La prima cosa che insegnano a scuola, ed è così in tutte le lingue, sono i saluti.

Ma in swahili, i saluti rivestono un ruolo fondamentale in ogni incontro, nel senso che sono un rito a cui nessun parlante swahili rinuncia. In ogni conversazione c'è sempre un lunghissimo preliminare dedicato ad essi, e via con "Come stai? Come sta tua moglie, come stanno i bambini, come va il lavoro e ........... Solo dopo molti di questi convenevoli si può esternare la ragione dell'incontro. E tutto questo anche quando si va a fare la spesa al mercato.

Ma non vi sembra una cosa molto bella!?

Pensate se domani andate alla posta o in banca e l'impiegato fa così con ogni persona allo sportello.

AH! la proverbiale lentezza africana, la loro filosofia hakuna matata, polepole (non c'è problema, fai lentamente), ma niente niente vada di pari passo con la altrettanto proverbiale saggezza dei wazee (vecchi africani).

Il mio primo mwalimu (maestro) è stato Carciofo, il beach boy, che ci ha accompagnato in tante passeggiate e tra una stella marina, un pesce palla e qualche fotografia mi ha insegnato i rudimenti della lingua. Ancora oggi mi manda sms struggenti in cui dichiara che siamo i suoi amici italiani preferiti e che non vede l'ora di rivederci.

Poi i bimbi dell'Orfanotrofio a cui ho chiesto di insegnarmi a pronunciare e scrivere i numeri e a cui ho chiesto di scrivermi le parole della canzone "Jambo", colonna sonora di ogni turista in Kenya.

Poi ho capito che non volevo perdere una singola parola e su un piccolo diario ho cominciato ad annotare ogni termine e la sua traduzione e in questo mi ha aiutato il grande Papito, altro beach boy, forse più istruito, senz'altro grande conoscitore della lingua italiana. Con lui ho composto una lettera di addio, o meglio arrivederci, da leggere ai bimbi prima della mia partenza. Il silenzio attento dei bambini mentre la leggevo, la loro meraviglia nel vedere questa donna bianca che pronunciava parole nella loro lingua, e la commozione generatasi in quella sera mi strugge ancora il cuore.

Tornata a Roma ho iniziato a cercare una scuola di swahili. La ricerca non è stata facile, ma alla fine ho trovato l'associazione AMCA, che opera nella Repubblica Democratica del Congo, e che fa corsi per preparare i propri volontari.

Tre mesi di corso, 120,00 euro con la certezza che parte della somma versata finiva in Congo per la costruzione di un pozzo o per l'allattamento artificiale di bimbi figli di donne sieropositive... e ho ottenuto il diploma di 1° livello. E poi ancora tre mesi di corso, altri 120,00 euro e ho ottenuto il diploma di 2° livello.

La prima insegnante è stata Solange, una bella ragazza congolese, che dopo cinque anni di studio in Italia, a dicembre se ne è tornata al suo paese, per lavorare nell'attività familiare.

Il secondo maestro è stato Mbaga, piccolo uomo dal cuore grande e semplice, insegnante forse un pò improvvisato e un pò indolente, di quella indolenza tipica africana, che insegnava swahili traducendo spesso con inflessioni romanesche.

Ora ad ogni persona di colore che incontro chiedo se parla kiswahili e quando mi dice bene, dovreste vedere le loro facce o sentire le loro esternazioni di gioia, è un vero spasso.

Grazie ad Internet ho trovato un sacco di materiale con cui esercitarmi, scrivo sms e mail ai miei warafiki (amici) kenyoti, ma vorrei tanto avere qualcuno con cui parlarlo quotidianamente.

martedì 12 agosto 2008

CON L'AMORE DI UNA LEONESSA - La mia vita con un guerriero Samburu- Christina Hachfeld Tapukai




Come molti stranieri ero stata attratta dal Kenya e anch'io ero rimasta affascinata in modo inspiegabile dall'Africa. Nel mio cuore ardeva un fuoco sereno per questa parte di mondo tanto misteriosa e tutti i miei pensieri e le mie sensazioni erano pervasi da un indefinibile incantesimo a cui non potevo sottrarmi. Molti viaggiatori rimangono vittime del fascino di questo continente e del forte impulso a tornarci continuamente o addirittura a rimanerci. E' una forza quasi inquietante, che continua a esercitare un richiamo e a rendere irrequieti fino a quando non si riesce a tornare. Il continente nero cela in sé un profondo segreto. Qui è presente qualcosa che nessun'altra parte del mondo può rivendicare. La chiave è nell'Africa stessa. Forse non si tratta che dell'eterna ricerca dell'origine di ogni essere, del desiderio di avvicinarsi agli albori dell'umanità, per tornare al luogo in cui il cuore dell'uomo ha cominciato a battere; forse è il bisogno di scoprire un paradiso in cui potersi perdere, non un paradiso di opulenza, bensì di ciò che è puro e originario.


Ero e rimango profondamente convinta che in Africa ci sia qualcosa di unico e che, senza voler fare troppe supposizioni, il suo lato oscuro abbia il potere di esercitare una forte attrazione su ogni persona sensibile in grado di percepirlo.


L'Africa è un continente pieno di meraviglie, nel vero senso della parola!

sabato 9 agosto 2008

L'alba di una nuova vita


Abbiamo fatto un viaggio l'anno scorso, un viaggio che doveva essere di riposo, dopo più di un anno di lavoro intenso. Ma l'impatto con l'Africa è stato travolgente, come una tempesta improvvisa in piena estate o un pugno nello stomaco, perchè una volta lì, abbiamo voluto guardarci intorno e il miracolo è avvenuto. Abbiamo semplicemente aperto le braccia, teso le mani, regalato sorrisi e l'Africa ci ha accolto e donato, proprio nella sua semplicità, momenti di gioia pura. E abbiamo deciso di impegnarci per l'Africa, perchè questo ci fa stare bene, e dato che non abbiamo figli, ma ci piacerebbe tanto, adotteremo in Africa nostro figlio, lo renderemo cittadino del mondo, lo sosterremo secondo le sue inclinazioni, alimenteremo in lui l'amore per la sua terra, ce lo porteremo quanto più sarà nelle nostre possibilità, per restituirlo un giorno alla sua Africa, quando lui vorrà, ma nelle condizioni di poter fare davvero qualcosa per la sua gente.

venerdì 8 agosto 2008

MAMMA AFRICA di Melissa Fay Greene


Nell'estate del 2000 i bambini resi orfani dall'AIDS erano circa 12.000.000 solo nell'Africa Subsahariana



..." Chi avrebbe cresciuto dodici milioni di bambini? Chi avrebbe firmato dodici milioni di autorizzazioni per le gite scolastiche? Chi avrebbe preparato dodici milioni di pasti da portare a scuola? Chi avrebbe fatto il tifo a dodici milioni di partite di calcio? Chi avrebbe comprato dodici milioni di paia di scarpe che si illuminano quando si salta? Dodici milioni di zaini? Dodici milioni di spazzolini da denti? Chi avrebbe raccontato dodici milioni di storie al momento della nanna? Chi avrebbe preso dodici milioni di appuntamenti dal dentista? Chi avrebbe organizzato dodici milioni di feste di compleanno? Chi si sarebbe alzato, di notte, a calmare lo spavento di diciotto milioni di incubi?Chi avrebbe consolato dodici, quindici, diciotto milioni di bambini? Chi li avrebbe aiutati ad evitare una vita di servitù o prostituzione? Chi avrebbe trasmesso loro le tradizioni culturali, religiose, storiche, artigianali e professionali? Chi li avrebbe aiutati a crescere, a scegliere la persona giusta con cui vivere, a trovare un lavoro, a fare da genitori ai loro figli?Sembra proprio che la risposta sia : Nessuno. O molto pochi. Non ci sono abbastanza adulti.